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Vedere, conoscere, riconoscere. Protocolli della visione tra scienza, arte e vita
Ne discuteranno Michele Rucci (Boston University) e Ugo Fracassa (Università Roma Tre) e il gruppo di lavoro sulle nuove scienze umane di Roma Tre. Il seminario vuole porre a tema questioni relative alla natura cognitiva della percezione sensoriale e alle diverse forme di conoscenza – empirica, artistica, scientifica – che attraverso essa possono prodursi. In particolare verrà problematizzata un’idea di “vedere semplice” come mera percezione sensoriale, fisiologica o estetica. La prosopagnosìa (disturbo della percezione facciale) può costituire un campo di…
Ulteriori informazioni »19 Novembre 2012 @ 15:00 -18:00
Ne discuteranno Michele Rucci (Boston University) e Ugo Fracassa (Università Roma Tre) e il gruppo di lavoro sulle nuove scienze umane di Roma Tre.
Il seminario vuole porre a tema questioni relative alla natura cognitiva della percezione sensoriale e alle diverse forme di conoscenza – empirica, artistica, scientifica – che attraverso essa possono prodursi. In particolare verrà problematizzata un’idea di “vedere semplice” come mera percezione sensoriale, fisiologica o estetica. La prosopagnosìa (disturbo della percezione facciale) può costituire un campo di osservazione privilegiato per ragionare sulla dialettica conoscere-riconoscere in ambito di percezione visiva e, più in generale, sulle potenzialità gnoseologiche dell’esperienza sensoriale ed emotiva della vista (la porzione cerebrale adibita alla visione aumenta progressivamente nella scala filogenetica). Cosa ne è di quelle potenzialità quando la percezione visiva diventa esperienza estetica (per esempio di fronte a un ritratto)? Platone relegava le forme della mimesi artistica ad un rango gnoseologico diminuito (τριτων τει απο της αληθειας – Repubblica; 597e): nell’epoca dei visual studies e dell’intreccio tra humanities e neuroscienze, che tipo di conoscenza, e quale tipo di rapporto rispetto a quella scientifica, configura l’esperienza artistica?
Ugo Fracassa: Sharbat Gula o della prosopagnosia occidentale
Il celebre ritratto fotografico The Afghan Girl, recentemente tornato agli onori della cronaca culturale nazionale in occasione di una mostra del fotoreporter Steve Mc Curry, impone riflessioni circa l’influenza sull’atto del vedere dei fattori mentali acquisiti culturalmente, ivi compreso il retaggio eurocentrico e coloniale, e pone specifiche questioni circa il peso esercitato dai fattori psicologici sulla formazione di ogni specifica percezione, anche nel caso di uno stesso oggetto fisico esperito in diverse condizioni esistenziali. La ragazza afgana, infatti, è stata nuovamente fotografata diciassette anni dopo i primi scatti, in occasione del suo “riconoscimento”, cui si è giunti grazie a una sofisticata tecnologia, lo Iris Scan fondato su un algoritmo individuato da John Daugman, professore di Computer vision a Cambridge. Disquisendo circa l’impossibilità patita dalla medicina settecentesca di assurgere al rigore matematico e quindi a scienza naturale, impossibilità derivata dall’elemento qualitativo-individuale che ne contraddistingue l’oggetto di studio, Carlo Ginzburg ricordava, in un celebre saggio intitolato Spie. Radici di un paradigma indiziario, che l’occhio: «è più sensibile alle differenze (magari marginali) tra gli esseri umani che non a quelle tra i sassi e le foglie». L’immagine della Afghan Girl, al secolo Sharbat Gula, in quanto icona planetaria dell’alterità, costituisce un vero e proprio case study per chi si interroghi sulle interferenze mentali, affettive e culturali della visione.
Ugo Fracassa è ricercatore e critico letterario, insegna Teorie della letteratura all’Università Roma Tre. Si è occupato di traduzione intersemiotica, con particolare riferimento alle relazioni tra testo scritto e visivo (pittorico, fotografico, cinematografico) in Immagini quadri inquadrature: il cinema nel «Pasticciaccio»(2006) e I 400 scatti. Malaparte in Etiopia (2009). Sulle stesse tematiche i due più recenti progetti di ricerca, su Gianni Celati narratore e documentarista e sulla riduzione cinematografica di un romanzo di Amara Lakhous.
Michele Rucci: A vista d’occhio: il futuro della visione artificiale
Nel 1997, Deep Blue, un sistema per il gioco degli scacchi sviluppato da IBM, batte il campione del mondo Garry Kasparov. L’evento suscita grande scalpore. È la prima volta che un sistema di intelligenza artificiale supera un essere umano in quello che sembrava un dominio principe del genere umano: il ragionamento logico. Oggigiorno, un normale programma su uno smart phone è capace di giocare al livello di Grande Maestro. Nel 2002, un team del National Geographic si reca in Afghanistan alla ricerca del soggetto di una famosa fotografia scattata 17 anni prima. Complici anni di stenti, la fisionomia della donna, Gula, è cambiata drasticamente, ma viene ugualmente identificata grazie a un sistema di visione artificiale. Questo evento potrebbe indurre a credere che l’intelligenza artificiale abbia superato l’essere umano anche nel dominio della percezione. Ma le cose non stanno così. La biometria, e più specificamente il riconoscimento dell’iride, è uno dei pochi settori in cui la visione artificiale ha avuto notevole successo. Ma in ambienti naturali, dove un oggetto può apparire in diverse posizioni, forme, prospettive, e condizioni di illuminazione, i sistemi di visione artificiale sono ancora lontani dal raggiungere il livello evolutivo di un insetto. Perché questa differenza tra ragionamento logico e percezione? Quali principi nascondono i sistemi di visione biologici che non hanno finora permesso la loro replicazione in computer? Sarà mai possibile creare un sistema di visione simile a quello umano?
Michele Rucci is the Director of the Active Perception Laboratory at Boston University. He is a faculty in the Department of Psychology, and member of Boston University’s Graduate Program in Neuroscience and the Center for Computational Neuroscience and Neural Technology. He received his laurea and doctoral degrees, both in bioengineering, from the University of Florence and the Scuola Superiore Sant’Anna in Pisa, respectively. Before joining Boston University, he was a visiting scientist at the University of Pennsylvania and a Fellow in Computational Neuroscience at the Neurosciences Institute in San Diego. He focuses on the interactions between perception and behavior by integrating experiments in visual psychophysics with computational models of the brain and the embodiment of neuronal models in robotic systems. Research in his laboratory has raised specific hypotheses regarding the influences of eye movements during visual development and in the neural encoding of visual information, has demonstrated the involvement of microscopic eye movements in fine spatial vision, and has led to the development of robots directly controlled by models of the brain. He is the author of many articles in biological and artificial perception and the recipient of multiple grants and awards.